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Khartoum testo

 Si vorrebbe fare di essa, per la sua posizione, un importante centro di transizione commerciale del centro Africa. Qualcuno già la definisce la nuova Dubay.

I media europei non offrono una dimensione reale di quella che è la vita in Sudan, di quelle che sono le restrizioni, a volte eccessive con cui i visitatori devono fare i conti. Cose semplici, come poter scattare delle foto oppure visitare monumenti, richiede permessi dalle autorità. Questo non favorisce certo la vocazione turistica del luogo.

Nonostante tutto, il mio trasporto per questo continente in cui sono già stato mi conforta.

E’ la luce che cattura subito: forte, calda, decisa, avvolgente, è diversa da tutte le altre.

Il viaggio dura un giorno intero Non ci sono collegamenti diretti ed io, assieme al il mio compagno di viaggio Mimmo Battisti, applicatore in veste di consulente per la Naici,  facciamo scalo prima a Francoforte. Qui Roberto, operatore della Cis, si  unisce a noi.

Arriviamo alle 23,30 di sera, La temperatura si aggira intorno ai 45/50

gradi, allo sbarco nell’aeroporto di Khartoum  mi sembra di ricevere un grande caldissimo abbraccio, di un’altrettanto grande donna cicciona .

In aeroporto ci ha dato il benvenuto un’irreale atmosfera calma e scoordinata.

Stranieri “bianchi” solo due oltre noi e poi, poche facce orientali, un clima completamente diverso da tutti gli aeroporti finora percorsi. Si pagano anche delle tasse all’ingresso. Un poco frastornati siamo stati aiutati da un incaricato per conto della cmc,  che ha permesso la nostra presenza in Sudan.

Arriviamo alla nostra pensione intorno all’una, percorrendo strade quasi buie. Veniamo quindi accompagnati alle nostre rispettive stanze che appaiono molto spartane. C’è il condizionatore, e per quanto rumoroso, è risultato decisamente indispensabile al riposo.

Alle 05:00 mi sveglia la preghiera distribuita dagli altoparlanti della moschea vicino, la prima di una lunga serie giornaliera. Non ho dormito molto, ma l’eccitazione della scoperta mi stimola. Salgo all’ultimo piano dove la sera prima mi avevano informato che si sarebbe tenuta la colazione. Facendo le scale, di nuovo un grande caldo abbraccio mi cattura. C’è anche una terrazza sul tetto che comunica con la sala; la luce fuori è densa e in alto, verso l’orizzonte, grigio arancio.

 La sabbia, forse la cosa più equamente distribuita tra la popolazione, entra dappertutto: io, mi sono organizzato vestendo le fotocamere con la plastica, per proteggerle.

Rientro pensando di essere ancora solo, invece c’è un uomo a tavola, ci salutiamo e mi presento, il suo nome è Daniele, da tre anni è in questo paese, impegnato a lavorare alla realizzazione dell’hotel.  E’ siciliano e parlando mi ragguaglia sull’ambiente.  Intanto Mimmo, e poi uno dopo l’altro, arrivano altri uomini.

Ho così modo di conoscere tutte le altre persone  che sono nella pensione.

Questi sono i miei compagni nei futuri giorni, persone che a vario titolo lavorano per completare l’hotel BurjAl-Fateh, anche se l’hotel è operativo da diverso tempo.

Adesso tutti in macchina alla maniera sudanese. I percorsi tra il BurjAl-Fateh e il nostro alloggio, sono bagni nelle situazioni più originali e a pensarci bene immagino quasi impossibile un censimento in un territorio simile.

Le strade? Nessuna regola, pericolose, percorse con i mezzi più diversi.  Le auto sono tutte di case orientali, del resto sono proprio i cinesi e i malesiani ad avere i maggiori rapporti petroliferi con il “Presidente” .  I ponti, le strade e le strutture più all’avanguardia sono realizzate da cinesi come del resto pare avvenga in buona parte d’Africa.

La città si divide in strade asfaltate, che si amalgamano con quelle in terra battuta, con la luce di notte, scarsamente  e disomogeneamente distribuita  che le accomuna.

Per guidare ci vuole la patente sudanese. Fortunatamente Daniele ce l’ha.

Oggettiva è la grande differenza che viene a confrontarsi nei diversi quartieri, come quello storico presidenziale, organizzato di servizi e illuminato, contro strutture in costruzione di dozzinale stile europeo, insieme ad altre, nuove ipermoderne, contornate in periferia da semplici case di fango e terra.

 

 Il BurjAl-Fateh si vede da quasi tutta la città, un’isola“felice” di avanguardia architettonica tecnologica e lussuosa.  Un forte contrasto con il resto del paese, frutto di relazioni tra Libia e Sudan.

All’ ingresso  dalla strada dell’hotel una decina di guardie armate.

Inizio a prendere confidenza con il mio futuro ambiente di lavoro, e conosco il responsabile dei lavori per la cmc, l’arch.Abate . E’ lui  suo malgrado, a dovermi informare del sicuro mancato permesso per fotografare al di fuori dell’hotel per poter raccontare l’evoluzione architettonica di Khartoum.

Frustrante per un fotografo dover girare con timore e contenere il desiderio di partecipare attraverso la produzione di immagini .

 Il periodo è quello delle prime elezioni “democratiche” dopo 20 anni di dittatura con il presidente autoproclamato  dopo un colpo di stato, infatti nell’hotel ci sono molti operatori onu e unicef per garantire uguaglianza e mancanza di brogli che però tutti tacitamente  sembrano concordare.

Non mi resta altro che approfittare dell’hotel stesso, compreso il suo ultimo piano, per guardare e documentare la futura Dubay.

Il Nilo, o meglio i nili, mi trovo di fronte a ciò che ho visto prima solo sulla carta geografica.

Giallo denso . Non è poca cosa fotografare l’unione del nilo azzurro con il nilo bianco. Dal punto di congiunzione il corso d’acqua percorrerà tutto il nord e poi l’Egitto come corso unico, assumendo un colore mono-tono.

Khartoum è una città caotica, con un ritmo costante anche la notte.  Le guardie armate si trovano quasi ad ogni angolo di strada. I ponti risalgono alla colonizzazione inglese come le ferrovie.

Durante il giorno beviamo minimo di 5 litri di acqua.

I lavori nell’hotel procedono bene sotto tutti i punti di vista.

Come per tutti tranne che per Moyana un uomo del centr’Africa che alloggia nella la nostra stessa pensione e lavora come tutti presso il BurjAl-Fateh, cerco complicità naturale con Daniele veterano del territorio, per poter tentare di trovare luoghi poco pericolosi dove prendere foto. Abbiamo il tempo minimo per il folklore di ogni via oltre gli scatti che istintivamente prendo dall’ auto.

A volte prima di rientrare, altre volte subito dopo una doccia o la cena, usciamo in macchina o a piedi curiosi, più che mai, in questo ambiente scuro, apparentemente tranquillo, caldo e caotico, differente, stupefacente, mai fermo, pericoloso, antico e affascinante.

Non ho avuto grandi rapporti ma gli uomini mi son sembrati cordiali e apparentemente calmi. Sembra ci sia tutto come in tutti gli altri paesi, grande centro commerciale compreso, dove vedo da vicino  le donne di questo paese che vivono in maniera forte la religione.

 

La mattina presto diventa quasi un’abitudine provare a rubare delle immagini in strada dal terrazzo e dalle finestre della mia camera.

Approfitto del venerdi, giorno di riposo mussulmano e quindi lavori presso l’hotel fermi, per organizzare con un’auto e un’autista una passeggiata di poco meno di 300 km fuori da Khartoum, meta: le Piramidi dei Faraoni neri, un tempo antico, Egitto e Sudan erano uniti. In questo modo spero di poter approfittare di un fatto culturale per soddisfare la voglia di raccontare quel paese.   Con me viene anche Mimmo, Roberto e Giuseppe oltre l’autista eritreo, ci scoppia una gomma in pieno deserto troviamo villaggi e pozzi di petrolio iper controllati, la strada è transitata da camion giganti.

L’occasione mi da modo di saggiare la grande estensione territoriale della città.

Va tutto bene ma a 20 km dalla nostra meta le guardie governative ci fermano e dopo aver impaurito noi e il nostro autista, ci rimandano indietro mostrandoci un recentissimo ordine che vieta agli europei e americani di poter girare, anche presso mete turistiche, senza un preciso permesso.

Mi restano odori densi, luci forti e contrasti smorzati dalla sabbia, anche un poco di rabbia.

 Stavo iniziando a prender confidenza con il territorio, Mimmo per necessità di lavoro resta qualche altro giorno ancora ed io come da volo già prenotato torno indietro questa volta viaggiando per tutta la notte, senza prima mancare di sottopormi all’uscita dell’ aeroporto ad una svariata serie di controlli ostentati e ripetuti.

MARTINO CUSANO